I fattori che possono aumentare i rischi espositivi sono, in aggiunta alla sensibilità individuale della cute alla radiazione UV (fototipi più chiari), la presenza di fotodanneggiamento, di cheratosi attiniche, di esiti cicatriziali estesi, di esiti di ustioni estese in zone fotoesposte, di numerosi nevi, di nevi atipici, di una storia personale di pregressi tumori della cute e di una storia familiare di tumori della cute, nonché di fattori di rischio immunologici (immunosoppressione) e farmacologici (vedi anche FAQ A.1). Oltre a numerose sostanze, vedi tabella PAF, anche numerosi farmaci di uso comune potrebbero dare fotosensibilizzazione, anche come recentemente messo in evidenza da nuovi studi o meta analisi. Chi pratica un lavoro all’aperto quindi dovrebbe prestare particolare attenzione o meglio, dove possibile, cambiare tipologia di farmaco.
Per quanto riguarda l’occhio sono più suscettibili i soggetti affetti da patologie oculari quali le midriasi post-traumatiche o post-uveiti o di natura neurologica, condizioni di monocularità dovute a varie cause (dall’ambliopia su base refrattiva, all’esito di traumi o interventi chirurgici), maculopatie, melanosi congiuntivale, familiarità per degenerazione maculare senile, ecc.
La sensibilità della cute o degli occhi alla radiazione UV solare può essere inoltre aumentata in modo anomalo anche da condizioni mediche preesistenti o dalla ingestione, inalazione o dal contatto della cute con sostanze che hanno proprietà fotosensibilizzanti.
La fotosensibilità può causare il danneggiamento della cute più facilmente, aumentando così il rischio di insorgenza di tumore della cute.
Tra le sostanze che causano fotosensibilità sono annoverabili prodotti chimici di uso industriale, farmaci, piante e alcuni olii essenziali e fragranze. Ribadendo ed ampliando quanto affermato in precedenza (FAQ C.3), è fondamentale che la valutazione del rischio UV solare includa l’identificazione della presenza di eventuali sostanze fotosensibilizzanti che possono essere utilizzate o prodotte durante le attività lavorative. Quelle eventualmente utilizzate possono essere censite avvalendosi della scheda di sicurezza, mentre quelle eventualmente prodotte in una o più fasi del ciclo lavorativo possono essere identificate (ed eventualmente quantificate) attraverso l’analisi del processo lavorativo.
Per quanto guarda l'assunzione di farmaci o sostanze fotosensibilizzanti si deve sottolineare che questa può avvenire in qualsiasi momento della storia personale del lavoratore, a fronte di una valutazione del rischio effettuata di norma ogni quattro anni. Allo scopo di risolvere tale discrepanza nell'ambito della valutazione del rischio dovrebbe essere adottato un protocollo che preveda che prima dell'assunzione ed in caso di nuovi trattamenti con farmaci con possibili effetti fototossici e/o fotoallergici il lavoratore ne dia immediata comunicazione al medico competente, che valuterà l’opportunità di mettere in atto specifiche misure di tutela. L'attuazione di tale protocollo presuppone che, a seguito dell’attività di informazione/formazione connessa al rischio UV solare, tutti i lavoratori siano consapevoli che l'assunzione di taluni farmaci potrebbe comportare effetti di tipo fotosensibilizzante e siano a conoscenza delle tipologie di farmaci che possono comportare tali effetti. Ciò a prescindere dal fatto che farmaci fotosensibilizzanti siano o meno effettivamente assunti dal lavoratore al momento della valutazione del rischio UV (Vedi anche FAQ D.7). L’assunzione di farmaci fotosensibilizzanti (tipologia di farmaco, dosaggi, durata del trattamento) deve essere verificata puntualmente dal MC in fase anamnestica nell’ambito della visita medica preventiva e delle visite periodiche, nonché in occasione della visita eventualmente richiesta dal lavoratore. In questi casi sarebbe utile una collaborazione del medico competente con i MMG, dermatologi e/o farmacisti per indicare al lavoratore l’uso alternativo di farmaci non fotosensibilizzanti. Nella tabella C.4.1 viene riportato l’elenco delle sostanze /farmaci fotosensibilizzanti presente sul PAF, che verrà costantemente aggiornato. Per quanto riguarda le piante che possono essere presenti negli ambienti naturali (prati, boschi), in aree verdi (parchi e giardini) o coltivate a scopo ornamentale o alimentare, possono contenere in singole parti del corpo vegetale (fusto, foglie, fiore o frutto), o nell’intero corpo ma a concentrazione differente a seconda della sede, sostanze ad attività fototossica, in particolare appartenenti alla classe delle furocumarine, e/o fotoallergica (“fotoapteni”). Lavoratori agricoli ma anche del settore forestale, addetti alla manutenzione delle aree verdi o impiegati nella floricoltura o nelle filiere di stoccaggio/trasformazione dei vegetali destinati all’uso alimentare possono venir a contatto attraverso le aree scoperte della cute (usualmente mani, ma anche avambracci e gambe e, in caso di contatto accidentale o per “aerotrasmissione”, volto) prive di copertura degli indumenti o di adeguati DPI (guanti e/o occhiali da lavoro) con parti diverse del corpo vegetale. Il rischio di reazioni fototossiche o fotoallergiche non si concretizza solo se le sostanze fotosensibilizzanti sono presenti o sono secrete sulla superficie di fusto, foglie, fiori o frutti, ma anche se si trovano all’interno del vegetale. Infatti, le attività di taglio, potatura, rimozione di specie infestanti e preparazione di parti edibili o di matrici edibili comportano tutte forme di dissezione/trasformazione del corpo vegetale, o determinano nel migliore dei casi lesioni allo stesso, che possono portare a contatto del lavoratore matrici o sostanze normalmente non accessibili a pianta integra. Questo aspetto costituisce una motivazione aggiuntiva per l’utilizzo scrupoloso degli indumenti da lavoro e dei DPI a protezione di mani e occhi così come il ricorso al Medico competente a cui porre quesiti sulla possibile pericolosità delle piante su cui si sta lavorano o il ricorso al dermatologo allergologo. Sostanze con potenziale fotosensibilizzante possono essere contenute anche in prodotti per l’igiene e la cura della persona (detergenti, creme, dopobarba, gel disinfettanti, etc). Se le aree cutanee sede di applicazione sono fotoesposte potrebbero comparire reazioni infiammatorie con varia presentazione clinica a seconda del tipo di sostanza e della modalità di utilizzo. Questi aspetti devono essere considerati in fase di valutazione del rischio e di modulazione delle misure di tutela del lavoratore (con particolare riferimento alla protezione individuale).